«Era al corrente di tutto e partecipò al piano»
Monosi resta sospeso

In primo piano, Attilio Monosi
In primo piano, Attilio Monosi
di Erasmo MARINAZZO
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Venerdì 19 Maggio 2017, 17:46 - Ultimo aggiornamento: 20 Maggio, 14:13
Sei ore in camera di consiglio ed il giudice per le indagini preliminari Giovanni Gallo ha spiegato in cinque punti perché non ci siano i presupposti per revocare ad Attilio Monosi la misura interdittiva dalla carica di assessore del Comune di Lecce. Per porre una questione che dovranno chiarire le indagini: perché tanto interesse da parte non solo di Monosi, ma anche degli altri indagati, nello sposare la causa dell’impresa edile pagata due volte per gli stessi lavori? E per dire, infine, che anche se si è dimesso dalla carica di assessore al Bilancio, siccome è candidato, in astratto potrebbe rientrare in giunta al termine delle elezioni dell’11 giugno.
I punti. Primo: le carte dell’inchiesta dicono che ad attivarsi per recuperare i 141mila 364 euro versati alla “Saracino Costruzioni” prima dall’amministrazione comunale di Lecce e poi dall’ufficio del commissario straordinario antiracket, fu l’assessore Luigi Coclite. E non Monosi. Secondo: fu il Comune a creare all’impresa il capitale per ottenere la restituzione del pagamento doppio. Perché quella restituzione sarebbe avvenuta subito dopo aver versato alla “Saracino” 279mila 977 euro per altri lavori. Terzo: i dialoghi intercettati con il funzionario Pasquale Gorgoni dimostrerebbero come Monosi fosse pienamente consapevole e partecipe del raggiro - quello contestato - consistente nell’autenticare una fidejussione scaduta da presentare al Ministero. Quarto: l’ex assessore chiamò il segretario comunale Vincenzo Specchia in un giorno festivo, l’1 maggio del 2014, - tra le altre cose - per sollecitarlo all’autentica della fidejussione. Quinto: ancora intercettazioni telefoniche per sostenere la vicinanza di Monosi a Saracino e alla sua impresa. “Saracino, uno dei nostri”, la frase chiave.
La decisione del giudice è arrivata nel primo pomeriggio di ieri. Ed il legale di Monosi, l’avvocato Riccardo Giannuzzi, ha annunciato di voler ricorrere al Tribunale del Riesame per chiedere l’annullamento dell’ordinanza di rigetto dell’interdittiva. Ordinanza che dice che l’ora e mezzo di interrogatorio di garanzia di sabato scorso non ha portato quelle novità che Monosi si auspicava per continuare a fare campagna elettorale senza l’ombra del sospetto del coinvolgimento nella truffa contestata per il doppio pagamento alla “Saracino Costruzioni” per i lavori nella sede di Lecce dell’“Associazione antiracket Salento: il giudice ha messo a confronto la ricostruzione di Monosi con quella della Procura (contrario il parere sulla revoca), riportando anche alcune intercettazioni, per dire come non sia possibile che Monosi non fosse al corrente di tutta la procedura seguita per il doppio pagamento alla “Saracino”.
“Saracino uno dei nostri” una delle intercettazione richiamate dal giudice nell’ordinanza di rigetto della revoca e riportata a pagina 272 dell’ordinanza di custodia cautelare che venerdì della scorsa settimana ha fatto finire in carcere Maria Antonietta Gualtieri (presidente dello sportello antiracket), il funzionario comunale Pasquale Gorgoni, l’ex funzionario comunale Giuseppe Naccarelli ed ai domiciliari la segretaria dello sportello antiracket Serena Politi. Sette le persone colpite da misure interdittive, fra cui Mo<CF4001>nosi per il quale la Procura aveva chiesto l’arresto in carcere e 32 i sequestri per equivalente della truffa contestata nella gestione dei due milioni e 33mila euro concessi all’“Associazione antirackert Salento” con i fondi del “Pon Sicurezza”.
Infine la questione che dovrà chiarire l’inchiesta condotta dai pubblici ministeri Roberta Licci e Massimiliano Carducci con i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria: perché per risolvere la questione del doppio pagamento gli indagati (otto in tutto) si siano spesi a tal punto da fare telefonate nei giorni festivi, con viaggi a Roma al Ministero e con solleciti al segretario comunale? Perché non seguire le vie ordinarie, con il coinvolgimento dell’avvocatura di palazzo Carafa ed una corrispondenza con lo stesso Ministero? Le indagini proseguono, dunque.
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