Taranto, dischetto incantato. Come si faceva sui campi sterrati/Il punto

Taranto, dischetto incantato. Come si faceva sui campi sterrati/Il punto
di Giovanni Camarda
3 Minuti di Lettura
Martedì 8 Dicembre 2015, 22:56 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 10:38

Si faceva così da ragazzini. All’epoca il calcio a 5 non era nato, non c’erano campi in erba sintetica, tutt’al più sterrati sui quali si piazzavano due tufi a mo’ di pali e per la traversa ci si affidava al buon senso (scarso), tanto che i tiri erano invariabilmente giudicati alti da chi difendeva mentre chi attaccava stava già esultando per il gol.



A quei tempi non ci si dava nemmeno un appuntamento: ci si trovava là e quando si raggiungeva un numero di presenze congruo, si cominciava. Non c’erano gerarchie, se non quella che individuava nel proprietario del pallone, il selezionatore: il tizio, in genere “un figlio di papà”, sceglieva sempre i più forti per sé e lasciava gli scarti nell’altra squadra. Capitava così che, nelle rare occasioni in cui l’arbitro - preso dalla strada o, nel caso, il più scarso tra i presenti che non aveva trovato posto nelle due squadre - decretava l’assegnazione di un rigore, iniziavano le discussioni: lo batto io, no io, ma il fallo era su di me, ma io li calcio meglio. Se ne andava un quarto d’ora, faceva buio, e poi alla fine si batteva.

Qualcosa di simile è accaduto ieri a Potenza, sul rigore assegnato al Taranto. Improta s’è avvicinato a Genchi e gli ha detto: fallo battere a me. E il capitano ha acconsentito, come si faceva sui campetti sterrati. Come se decidere fosse cosa loro e non riguardasse il resto del mondo, la squadra, la società, l’allenatore, i tifosi. Poi Genchi ha giurato che non succederà più, quando ormai era troppo tardi. Si sarebbe dovuto limitare a rispettare le scelte concordate prima e battere quel rigore. E pazienza se l’avesse sbagliato, questo può succedere, è successo.

Così, invece, non c’è solo un rigore sprecato, ma anche una sconfitta maturata nel recupero, una classifica che peggiora, un rilancio che si arresta, una tifoseria che si arrabbia. C’è anche anche un senso di scollamento tra la percezione che l’ambiente ha della propria squadra e l’atmosfera da campetto di periferia che traspare in certi episodi. Da una parte ci sono aspettative, contestazioni, esoneri, investimenti, dall’altra il testa o croce tra lo batto io o lo batti tu. Qualcosa non torna. A giudicare anche dalla prestazione, qualcosa è poco. E non è una questione di impegno, di attaccamento, di maglia sudata. È molto di più.