Muay Thai, Siciliani dice addio al ring: «Mi ritiro»

Il campione del mondo di Muai Thay Fabio Siciliani
Il campione del mondo di Muai Thay Fabio Siciliani
di Francesca SOZZO
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Venerdì 6 Maggio 2016, 11:19 - Ultimo aggiornamento: 11:56

Il guerriero dall’animo nobile lascia. Trentacinque anni a breve, 80 match, sei titoli mondiali (in sei sigle differenti) un futuro tutto da disegnare. Ma non a tinte fosche. In pentola ci sono grandi novità e soddisfazioni che lo sport gli ha regalato, trasformando la sua passione in stile di vita. 
Fabio Siciliani, leccese doc pluricampione del mondo, dice addio al ring. L’ultimo match, disputato lo scorso 30 aprile, gli ha consegnato il sesto titolo mondiale nella Muay Thai, ma non lui combatterà più.
«Quando ti sentirai forte, non avrai più bisogno di combattere - mi diceva il mio maestro - e ora sto cominciando a capire vagamente il concetto». 
Ko al 1 round, a[FI]l Kindergarten[/FI] Bologna nella sfida Fight Clubbing 20. Un calcio in faccia (kick il termine tecnico) che manda a terra il campione marocchino El Byari Jaouad. Aveva già deciso prima di salire sul ring che quello sarebbe stato il suo ultimo incontro. «Lui ha cercato di darmi dei destri, si muoveva in maniera convulsa. Ho visto il primo, ma ho aspettato il momento giusto per anticiparlo». 
Dedizione, rigore, rinunce, determinazione. Sedici anni di agonismo e una carriera tutta da ricordare. L’avvicinamento alla Muay Thai «perché dovevo difendermi da mio fratello Gianluca», racconta sorridendo. Poi la passione: «Quei ragazzini rasati, tutti unti, che combattevano come dei lupi a ritmo della musica che aumentava gradualmente in base all’intensità dell’incontro, mi ha flashato il cervello». Gli occhi brillano, fa finta di niente, le mani in tasca, chiuso nel giubbotto di pelle, sciarpona e l’immancabile coppola. Un fiume in piena e per cercare di descrivere cosa rappresenta per lui la Muay Thai prende in prestito le parole di Platone (e scusate se è poco): «Un uomo deve avere le gambe delle parole, il volume di quello che dice. Un uomo senza la gambe, senza quell’equilibrio tra mente e corpo, come dicono i greci, non ha senso. Cercare i virtuosismi dell’anima, questa è la difficoltà. Tutti abbiamo un dolore, una morte ed è facile farla finita, ma è trovare lo stimolo per andare avanti e combattere che è difficile».
«Perché combattevo? Forse avevo paura di deludermi, forse perché cercavo una conferma continua. La figura di mio padre che mi è venuta a mancare. Forse volevo solo sentirmi dire dall’opinione pubblica: “sei bravo”».
Il lutto per la perdita del padre - il 30 aprile giorno del suo sesto titolo mondiale è stato anche l’anniversario della sua morte - poi il metabolizzare la morte e ripartire. «Ho dovuto “uccidere” mio padre, come diceva Nietzsche, oggi io sono diventato lui, perché mi sono calmato. L’arte marziale è riuscita a darmi ciò che la scuola non ha mai fatto: l’obbligo di svegliarmi - racconta - di stare a dieta. Sono 16 anni al ritmo di due allenamenti al giorno, di cartilagini rotte, di tibie spaccate. Chi non ha idea di cosa ci sia dietro un match, i sacrifici, le regole, vede solo il ko, il colpo». 
La Muay Thai gli ha dato un lavoro, un nome, una casa, la possibilità di pagare le bollette. Un sogno, una passione che lo ha reso campione, un atleta di cui andar orgogliosi. 
E ora? Lontano dal ring, dall’odore della canfora, dall’adrenalina della sfida, cosa resta? Il suo mondo, la sua vita, la sua famiglia, la sua passione. Non avrà tempo per annoiarsi Siciliani, ha i suoi ragazzi da gestire, Classe A di Muay Thai da accompagnare in giro per il mondo a combattere, gli stage a Londra, Parigi, Barcellona. Ha la sua palestra Fabio Siciliani, il suo allenamento, l’incarico di presidente della commissione Atleti italiani, la passione per i libri. «Sto leggendo D’Annunzio, “Il Piacere”», riscoprendosi vicino all’autore nei pensieri, negli scritti buttati giù tra un match e l’altro. «Ora mi occuperò della promozione della Muay Thai, seguirò i miei ragazzi, anche questo mi ha dato la forza di smettere». 

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