Roma, tassista violentata: «Lo stupro fu premeditato». Nessun raptus per Borgese

Roma, tassista violentata: «Lo stupro fu premeditato». Nessun raptus per Borgese
di Adelaide Pierucci
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Lunedì 27 Giugno 2016, 07:54 - Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 09:52


Non un raptus ma un'azione premeditata. Simone Borgese aveva teso una trappola quando si era fatto condurre da una tassista a Piana del Sole per stuprarla, indicandole una strada senza uscita. E' la ricostruzione fornita dal collegio della quarta sezione penale del tribunale, presidente Marina Finiti, che a marzo ha condannato il cameriere romano a sette anni e mezzo per violenza sessuale aggravata, rapina e lesioni. Sei mesi in più della pena sollecitata dal pm titolare delle indagini, Eugenio Albamonte. Non sono bastate le lettere spedite dal carcere alla vittima, e neanche le confessioni, al momento dell'arresto e in aula, per alleggerire la pena del violentatore. Secondo i giudici l'imputato non ha mai detto tutta la verità.

VIA AURELIA
«Appare evidente» si legge nelle motivazioni della sentenza, «che la condotta posta in essere dal Borgese è stata sorretta da una forma di dolo particolarmente intensa, avendo quest'ultimo agito consapevolmente ed essendosi risolto al compimento dell'azione delittuosa già prima di averla intrapresa, verosimilmente una volta che il taxi era arrivato nei pressi della zona Piana del Sole», non lontano, si è scoperto poi, dalla casa dei nonni. I fatti sono dell'8 maggio del 2015. E i giudici li ricostruiscono con le dichiarazioni della tassista, «lineari, chiare e scevre da contraddizioni». Tra le 6.30 e le 7 del mattino mentre percorre piazza Irnerio un uomo con un borsone da palestra le fa cenno di fermarsi: «Ponte Galeria, grazie. Non è passato l'autobus». Arrivata nella zona «la vittima chiedeva all'imputato di indicargli la strada da seguire non avendogli fornito un indirizzo». Lui la conduce fino a Piana del Sole, «dove non era mai stata». «La parte offesa ha riferito poi» continuano i giudici «che a un certo punto il cliente le chiedeva di tornare indietro in quanto si era distratto e che avrebbe dovuto girare a sinistra. Poi una volta tornata di poco indietro in retromarcia, le diceva che si era sbagliato e che invece avrebbe dovuto proseguire dritto» conducendola così «su una sterrata per circa un chilometro dove a un certo punto l'imputato la invitava ad arrestare la vettura e chiedere il prezzo della corsa». Alle 7.15 quindi la tassista è «ferma in un posto isolato».
 
L'INCUBO
«A quel punto il Borgese che si trovava sul sedile posteriore e che sino a quel momento non aveva dato alcun segno di irrequietezza, si alzava in piedi e si affacciava tra i sedili anteriori, all'altezza del cambio, ponendole una mano sulle gambe, iniziando a tirarla forte indietro per i capelli, di fatto bloccandola». Per la tassista è l'inizio dell'incubo, «premeditato» dal violentatore quando ha ripensamenti sulla strada dove far fermare il taxi. Non lontano dalla via dove pochi giorni prima Simone Borgese si era fatto lasciare da un altro tassista, senza pagare il conto, lasciando in compenso il suo numero del cellulare. «Appena ho visto l'identikit dello stupratore ho pensato a quel cliente senza soldi» ha raccontato in aula Fabio Gentili. La polizia dal numero è poi risalita a Borgese. A quel punto è bastato sottoporre alla vittima la foto di Borgese scaricata da facebook. «E' lui, senza ombra di dubbio». Al processo, il Campidoglio e la onlus Bon't Worry hanno sostenuto la tassista costituendosi parti civili .