Ciao Roby, "piccola" donna di grande talento

Ciao Roby, "piccola" donna di grande talento
di Giovanni CAMARDA
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Martedì 15 Maggio 2018, 21:13
Aveva smesso già da un po’, praticamente un anno e mezzo. Nel 2016 a New York il suo canto del cigno, l’eliminazione ai quarti contro la tedesca Kerber, che poi avrebbe vinto il torneo. Quella è stata, mentalmente e agonisticamente, l’ultima vera Vinci, l’ultima Roby degna di sé, capace di dare spettacolo nonostante un fisico menomato dagli acciacchi. Quel giorno il suo corpo si è arreso all’evidenza e le ha detto: basta, non ce la faccio più. Lei non aspettava altro, perché era già da tanto che faceva fatica ad andare avanti, stanca dello stress, della routine, degli allenamenti, di una vita che le aveva tolto vita, dandole in cambio soddisfazioni enormi ma costringendola a rinunce pesanti, fin da bambina. Era solo una tredicenne quando lasciò i suoi per trasferirsi a Roma, da sola, tentando di realizzare un sogno che poi è durato 22 anni. In realtà, è andata ben oltre quel sogno.
È stata n.7 in singolare con 10 titoli vinti, e n.1 in doppio con 25 tornei e il Career Grand Slam. È stata, soprattutto, l’interprete del tennis femminile più bello del mondo, non il più forte, il più vincente, il più potente, ma il più fantasioso, imprevedibile, semplicemente inimitabile. Come un’opera d’arte. È stata unica, a modo suo, una piccola donna con un talento gigantesco. E carattere, personalità, determinazione. Ha battuto, oltre alla sua matrioska Serena Williams in quella semifinale di Flushing Meadows del 2015, anche una montagna di pregiudizi, smentendo quanti, ed erano in tanti, non avrebbero scommesso una lira sulle sue potenzialità. Non avevano fatto i conti con il suo estro, il suo back e la sua incommensurabile tenacia, presa un po’ dai suoi, papà Angelo e mamma Luisa.
Ha continuato fino a ieri anche per loro, che hanno vissuto in tutti questi anni nel suo cono d’ombra, scendendo in campo accanto a lei sempre e dovunque, sedendosi davanti ad un computer a qualsiasi ora del giorno o della notte, che giocasse a Bogotà o a Sydney. Sapeva che, smettendo, avrebbe tolto qualcosa a entrambi e per questo ha prolungato il percorso oltre il suo approdo naturale. Ma si è trascinata fino alla Krunic un po’ anche per sé, per il diritto ad un finale da film, su quel Pietrangeli affettuoso, caldo, avvolgente per un abbraccio meritato che l’Italia del tennis le doveva per le mille emozioni e gli innumerevoli successi firmati anche in azzurro, in particolare la finale di Cagliari nel 2013, la “sua” Fed Cup.
Esce così dalla cronaca per entrare nella Storia e nella leggenda, lasciando negli altri, in specie nella sua città, la certezza che mai un’altra come lei ci sarà, nel tennis e nello sport. La più grande tarantina di tutti i tempi, con il consenso di Ikkos. A chi ha avuto la fortuna di camminarle accanto resta solo da dire: grazie Roby.
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