Conte, il salentino anti-salentino che divide: ora tocca a juventini e interisti

Conte, il salentino anti-salentino che divide: ora tocca a juventini e interisti
di Renato MORO
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Sabato 1 Giugno 2019, 11:15 - Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 21:29

Se c’è qualcosa che il salentino non sopporta è un salentino che mette in discussione i salentini. È insopportabile, inconcepibile. Irrispettoso quanto un Salvini che sfoggia il Crocifisso dal palco o indigesto quanto potrebbe esserlo un pasticciotto che invece della crema di Alvino contenga a sorpresa due cucchiai di Pasta del Capitano.
Assaggereste mai un pasticciotto ripieno di dentifricio? Certo che no. Ma sappiate che se scartate a priori una simile ipotesi vi risulterà difficile, se non impossibile, digerire un personaggio come Antonio Conte. E non solo perché in quel fatidico pomeriggio d'agosto di 22 anni fa urlò felice per aver segnato il secondo gol della Juve all'incolpevole Lorieri, portiere del Lecce. Non solo perché quel gesto venne interpretato come un'offesa mortale dai tifosi della curva e, per estensione, da tanta altra parte della tifoseria giallorossa. Non sopportereste Conte perché Conte, nonostante un cognome che vuol dire nato-nella-terra-delle-frise, è un antisalentino. Uno che va controcorrente, che ha rotto e continua a rompere lo schema sole-mare-vento (proprio lui, che di schemi pare s'intenda). Uno che su Instagram mai aderirebbe a #ilpaccodagiù per godere delle teglie di parmigiana fotografate all'ombra del Duomo di Milano, come se ciò possa importare qualcosa ai milanesi e al resto del mondo.
Ecco, Antonio Conte è antipatico per questo. Perché da salentino non è salentino. Certo, ora si trova nella scomoda posizione dell'allenatore che sta dividendo l'Italia calcistica, persino gli stessi tifosi neroazzurri che dalla prossima stagione lo vedranno sulla panchina della loro Inter. Ora è patrimonio nazionale della partigianeria da stadio, quella più tamarra, ma la mamma di tutti i suoi guai è solo ed esclusivamente quel riferimento geografico stampato sulla sua carta d'identità. È salentino. Ed essendo atipico, sanguigno, concreto, magari a volte anche un po' insofferente, è il contrario di quello che ogni bravo salentino si aspetta di vedere nei suoi simili. Non parliamo poi della freddezza, ché una qualità del genere è come la firma dell'anticristo in una terra in cui persino i ghiaccioli dell'Algida hanno una temperatura da fon in funzione nella modalità II.
Conte fa pensare alla tramontana e non allo scirocco. A un brunch invece che a un pranzo con 27 portate, a un weekend su al Tonale invece che a una mangiata di ricci e cozze sugli scogli di Badisco. Non è dalla maggioranza riconosciuto come amicone, simpaticone, anfitrione e pacioccone. Magari lo è in privato, ma il salentino vero non distingue tra pubblico e privato. Non è accomodante come un maggiordomo, s'incazza facilmente, non guarda in faccia nessuno e forse non soffre più di tanto la lontananza dalle tavolate leccesi. Peccato mortale per un popolo che sogna di esportare melanzane fritte su barconi di cartellate naviganti in un fiume di negroamaro. Un popolo fin troppo incline a smussare gli spigoli della vita quotidiana nella besciamella del rustico.
Conte, altro esempio, non è come quelli che scrivono recensioni sui giornali. Avete mai letto di un critico salentino che abbia stroncato un autore o un artista salentino? Nemmeno i cani, per tradurre in italiano un'espressione a noi cara. Qui, tra i due mari e all'ombra degli ulivi che non abbiamo più, siamo tutti dei Calvino, dei Montale, degli Schifano. Scriviamo libri anche durante la pausa caffè, preghiamo in cinese gli editori e paghiamo di tasca nostra per pubblicarli, li vendiamo porta a porta o li barattiamo con una pizza. Ma se la commissione dello Strega ci ignora è e sarà sempre perché siamo vittime di un complotto antisalentino.
Maria D'Enghien, contessa di Lecce e signora delle nostre contrade, tracciò a suo tempo la strada da seguire. Combattè Ladislao accanto a Raimondello, suo marito, ma quando quest'ultimo passò a miglior vita e quando lei s'accorse che non ce l'avrebbe fatta a resistere pensò bene di venire a patti col nemico. E lo sposò. Oggi, da eroina, è sulla bocca di tutti perché dà il nome ad una delle torte più buone di Natale. I salentini sanno come ricordare e celebrare i salentini che salentinamente conquistano un posto al sole della Storia.
La salentinità avvolge, accoglie, sfama (e quanto sfama, soprattutto se si manifesta con le sembianze di una nonna o una mamma), ritempra, stempera e rigenera.

Ma non perdona chi non accetta le regole del gioco. Poco importa se nel mondo di cui parliamo - quello del calcio - certe qualità servono ben poco lungo la strada del successo. Se ne accorse, un bel po' di anni fa, anche il mitico Eugenio Fascetti. Sulla panchina del Lecce appariva freddo, calcolatore, quasi antipatico. Fuori dallo stadio dava poca confidenza e - colpa assai più grave - dava del lei a tutti. Dai salotti girava alla larga, ma la sua rovina - prima ancora della scelta di allenare il Bari - fu quando in sala stampa pretese di parlare solo con i giornalisti. Ma come, chi si credeva di essere? È mai possibile che un malato chieda un parere solo ai medici? Che un tizio con l'auto in panne chieda aiuto solo ai meccanici? O un contribuente affidi il suo 740 solo a un commercialista? Ve la immaginate, cari tifosi salentini che più salentini non si può, una panchina affidata nientedimeno che a un bravo allenatore? Follia. No, da queste parti non funziona così.

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