"Ambiente svenduto”, secondo atto per i Riva e Vendola

"Ambiente svenduto”, secondo atto per i Riva e Vendola
di Mario DILIBERTO
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Venerdì 19 Aprile 2024, 10:38 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 21:27

Si sono accesi questa mattina nell’aula bunker della vecchia sede della Corte d’Appello del quartiere Paolo VI, i riflettori del secondo atto del processone “Ambiente svenduto”, con al centro il disastroso inquinamento di natura industriale di Taranto. Nella Corte d’Assise d’appello, presieduta dal giudice Antonio Del Coco,ha preso il via la prima udienza del grado di appello per i presunti responsabili del disastro ambientale del capoluogo jonico. In prima fila gli industriali Riva, ex proprietari della gigantesca fabbrica dell’acciaio accomodata con le sue inquietanti ciminiere e i temuti reparti dell’area a caldo, sotto chiave dal luglio del 2012, alla periferia della città ad un tiro di schioppo dalle case del quartiere Tamburi. Ma anche l’ex Governatore pugliese Nichi Vendola (non è presente in Aula) che punta sul secondo grado per cancellare la pesante macchia sul suo cammino rappresentata dalla condanna a tre anni e mezzo di reclusione per concorso in concussione. ll processo, dopo l'appuntamento di oggi, riprenderà nell'udienza fissata per il prossimo 17 maggio. 

Ventisei in tutto le condanne, per un totale di quasi tre secoli, decretate in primo grado e che ora passeranno sotto la lente di ingrandimento della nuova battaglia in aula. Per racchiudere gli atti del dibattimento, che in primo grado si è snodato lungo un cammino di 330 udienze, sono stati utilizzati un qualcosa come quasi 500 faldoni. Una mole imponente di documenti per il cui trasferimento negli uffici giudiziari della Corte d’Appello, è stato necessario attrezzare un camion. Numeri record che da sempre hanno accompagnato il procedimento con l’obiettivo focalizzato su fumi, polveri e veleni industriali rovesciati su Taranto. Un discorso che vale anche per il decreto di citazione in Appello firmato dal presidente Del Coco. Un atto di 43 pagine in cui, oltre al lungo elenco di imputati, 39 e tre società, è presente quello lunghissimo delle parti civili, oltre mille, e dei componenti dell’ampio collegio di difesa. Si parte dalla sentenza con la quale in primo grado la Corte d’Assise, presieduta dal giudice Stefania D’Errico, a latere il giudice Fulvia Misserini, inflisse condanne esemplari a industriali e dirigenti della grande industria riconosciuti responsabili del grave inquinamento della città.

Un verdetto di ben 83 pagine, per la cui lettura furono necessarie oltre due ore. Tra le condanne che rimbombarono quel giorno nell’aula Magna della scuola della Marina Militare di San Vito, quelle a ventidue anni di reclusione per Fabio Riva, a venti anni per il fratello Nicola, e a ventuno anni per Luigi Capogrosso, l’ex direttore dello stabilimento un tempo orgoglio della siderurgia nazionale e derubricato, da oltre un decennio a questa parte, a emergenza italiana alla disperata ricerca di una soluzione credibile. Tra le condanne più pesanti, poi, c’è anche quella a ventuno anni di reclusione per Girolamo Archinà, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali del gruppo Riva, la cui figura è stata tratteggiata dagli inquirenti e dai giudici, nella sentenza da 3700 pagine, come quella di una specie di eminenza grigia degli ex proprietari della fabbrica e regista dei rapporti intessuti dalla grande industria con la politica e non solo.

I poderosi fendenti di quella sentenza di due anni fa, infatti, hanno prodotto ferite profonde non solo ai vertici del più importante gruppo industriale italiano e proprietario, proprio a Taranto, del più grande polo siderurgico d’Europa. Ma anche a un volto simbolo della politica e della sinistra italiana, come Nichi Vendola, l’ex presidente della Regione Puglia condannato per concussione aggravata. Accusa che Vendola ha sempre respinto con sdegno. L’ex Governatore, come l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido (in Aula), condannato a tre anni, e gli altri politici inseriti tra gli imputati, è stato condannato in primo grado con l’accusa di aver prestato il fianco a quella grande industria gestita, a giudizio della pubblica accusa, con modalità “criminali”. Una contestazione grave condivisa, in primo grado, dalla Corte d’Assise, come dimostrano le pesanti condanne.

Un verdetto che la difesa di capitani di industria e politici ora intende ribaltare proprio nel secondo round del processo che prenderà il via questa mattina, a quasi dodici anni dalla tempesta giudiziaria che travolse il gigante d’acciaio con arresti e sequestri di acciaierie, cokerie e altoforni. Impianti indicati come la fonte di “malattia e morte” che, però, da allora non si sono fermati nemmeno per un giorno.

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