Intervista a Michele Riondino: «Mancano voglia e coraggio. Ora basta piangerci addosso e creiamoci un’alternativa»

Intervista a Michele Riondino: «Mancano voglia e coraggio. Ora basta piangerci addosso e creiamoci un’alternativa»
Intervista a Michele Riondino: «Mancano voglia e coraggio. Ora basta piangerci addosso e creiamoci un’alternativa»
di Nicola SAMMALI
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Giovedì 9 Maggio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 11:41

«Manca la fantasia». L'attore e regista Michele Riondino torna a parlare della sua Taranto, dopo il trionfo di Palazzina Laf ai David di Donatello, che ha proiettato la città in un dibattito aperto sulla capacità e la volontà di costruire realmente alternative alle catene che la tengono ferma al destino dell'acciaio e della fabbrica. Tutto, ancora, sembra ruotare attorno al siderurgico.

Riondino, cosa manca perché Taranto possa davvero costruirsi quel futuro che lei sta contribuendo a immaginare e realizzare?

«Manca la fantasia, manca la voglia di immaginare, manca la materia umana.

A Taranto siamo abituati ormai al concetto che il lavoro è solo là dentro, dentro quella fabbrica, e quindi fa parte del nostro Dna, una sorta di atavica pigrizia che non ci permette di immaginare neanche qualcosa. Aspettiamo che qualcuno ci faccia entrare in azienda; aspettiamo che “il fratello dell'amico del sindacalista” ci faccia entrare in azienda; aspettiamo che qualcuno ci metta una buona parola per farci svoltare il futuro. Siamo sempre lì, siamo un popolo, una città, fatta di cittadini che aspettano che qualcuno faccia qualcosa per noi. Invece, e non è il caso solo di Uno Maggio, Cinzella Spazioporto, ci sono tanti ragazzi, pensiamo a Mercato Nuovo, che si adoperano, inventano, fanno start-up. Ci sono tante possibilità: lo sviluppo del nostro territorio non deve passare più necessariamente dalle istituzioni. A Taranto è sempre mancata, già da quando l'Italsider divenne Ilva, e il libro di Attino "Generazione Ilva" lo racconta benissimo, proprio una generazione di industriali che si fa venire le idee e che si mette in moto per farle diventare realtà».

In questo contesto che appare così debole di fronte a quel cambiamento al centro di tanti discorsi fatti a più livelli, probabilmente manca anche la voce di Alessandro Leogrande, a cui il film è dedicato?

«Una figura come Alessandro, una persona che ragiona attorno ai temi manca, e non solo a noi tarantini. Manca come amico con cui confrontarci, manca la sua visione, manca la sua opinione, però abbiamo tutto per andare avanti. Sarebbe il caso di fare meno chiacchiere sui social e di rimboccarsi le maniche, invece, per inventarsi qualcosa di alternativo».

E allora, di cosa c'è bisogno?

«C'è bisogno di condividere progetti, di collaborare, e questo lo facciamo solo se non ci piangiamo addosso. Noi invece ci piangiamo addosso e stiamo a chiedere che la fabbrica non chiuda, perché se chiude “vengo a mangiare a casa tua”; che non si può sostituire l'acciaio con il cinema: tutte cose banali».

Quando sul palco dei David ha detto che l'industria del cinema può rappresentare un'alternativa alla fabbrica, qualcuno, però, ha contestato le sue parole.

«A me fa sempre molto ridere - ridere in senso lato, perché ci sarebbe da piangere - che tutti quelli che remano contro l'innovazione, contro il progresso, contro la fantasia, hanno trovato nelle mie parole qualcosa che non c'era: io ho detto che l'industria del cinema e dell'audiovisivo in Puglia, e a Taranto nello specifico, sta rappresentando sempre di più una realtà concreta, ma che non può sostituire l'acciaieria. Siccome il cinema è un'industria, che non dà da mangiare solo agli attori, avrebbero dovuto fare attenzione a quello che dicevo, perché quello che dico è che il cinema e l'audiovisivo può dare da lavorare a centinaia, se non a migliaia di persone che potrebbero avere una qualifica, potrebbero sviluppare delle professionalità. La cosa che veramente fa tanta rabbia è che molta opinione pubblica sui social si scaglia contro il cinema quando per esempio utilizza Taranto per parlare di Beirut o di altro, come se il cinema dovesse essere uno spot per la città: invece il cinema è cinema, racconta storie, fa vedere delle cose, e quindi bisognerebbe scandalizzarsi o comunque farsi delle domande, invece, quando le produzioni vengono a girare a Taranto però chiamano gli elettricisti da fuori, chiamano le sarte da fuori, chiamano i costumisti da fuori, chiamano tutte quelle professionalità che qui non ci sono. Quindi la mia idea è quella di sviluppare professionalità legate all'audiovisivo direttamente in Puglia, ecco perché dico che nel piccolo il cinema può rappresentare un'alternativa, non l'alternativa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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