Su quel treno noialtri ci saremmo saliti, e una volta a bordo non ne saremmo mai scesi. Mai. Comprendeteci: e quando ci capita un Frecciarossa vero, di quelli ad alta velocità, che sfrecciano a 300 chilometri orari, attraversano campagne e colline, proiettano l'Italia sul finestrino e ti portano a destinazione in tempi record che neanche con l'aereo, figurarsi con l'auto? Quando? Su quel treno (quello, e ci siamo capiti) noi vorremmo poterci salire. Altro che scendere. E a una fermata non prevista, poi. Ma siamo impazziti?
Dice: ma era in ritardo. Quasi due ore. Gli appuntamenti, gli impegni, le cerimonie, tutto sarebbe saltato... Embè? Noi due ore di ritardo ce le abbiamo sempre; e se non sempre, spesso. Mettetela come vi pare, ma per noi il ritardo è uno stato esistenziale, una condizione persistente, una iattura, se volete, non un'indicazione che appare talvolta su display, un raro imprevisto, un piccolo accidente. Qui le lancette sono quasi sempre spostate all'indietro. Noi corriamo, fin dalla sveglia, o almeno proviamo: ma gli altri sono avanti, da tempo.
Noi l'alta velocità ce la sogniamo la notte. Non ce l'abbiamo, chissà se arriverà mai. E in certi giorni le due ore di ritardo – quando tutto va a rilento e le attese della vita si dilatano, le code si allungano, le speranze si assottigliano – le baratteremmo volentieri con altre ore, giorni, mesi e anni di un ritardo infinito in cui siamo condannati a muoverci. Due ore? Magari. Saremo lenti di nostro, forse, per quanto ci sforziamo. Ma pure a voler accelerare, mancano comunque le strade e i binari per la nostra voglia di fare, di andare e tornare. Per le nostre "alte capacità" (già). In buona parte della Puglia mancano collegamenti, treni e aerei adeguati. E quei pochi costano un occhio. FrecciaLollo? Eh no: questo è FrecciaVoglio. Fortissimamente voglio.